martedì 22 dicembre 2015

Analisi dell'opera: Madonna col Bambino e San Giovannino


Tavola con Madonna, Gesù bambino e GiovanninoProprio in tempi, come il nostro, in cui il pregiudizio (basato sul perdurante fanatismo romantico per il titanico atto creativo) continua a privilegiare l’originalità, e dunque l’invenzione contenuta nell’opera d’arte, degradandone, ad esempio, la ripetizione, anche per mano del suo inventore e legittimo proprietario, a replica (ciò che sempre implica una squalificante banalità), si dovrebbero allora maggiormente apprezzare anche i falsi creativi, cioè quei falsi che non sono mere ripetizioni d’opere già note, ma anche (seppur sempre d’intenzione truffaldina) ricreazioni d’opere nuove nel plausibile stile dell’Autore imitato. Per essere accettate, esse devono corrispondere alla visione che si ha dell’artista coinvolto nel momento dell’imitazione pur sempre datata e fatalmente caduca. La scoperta del loro status spurio richiede il passare del tempo, quello necessario a che di quella visione si rivelino gli errori; ma, d’altro canto, consente al lettore moderno di vedervi riflesso come in uno specchio i valori in auge all’epoca del falso, attribuiti all’artista per accrescerne la gradevolezza presso gl’immediati destinatari. Sicché non meraviglia che anche a noi appaia stupenda questa Madonna col Bambino e San Giovannino, e quasi per gli stessi motivi che fin dall’Ottocento ne facilitarono l’approdo, in una prestigiosa Collezione nobiliare milanese e poi la gelosa conservazione come della più bella tavola mai dipinta da Bernardino Luini. Questa Nostra Donna dall’ampia fronte si prova infatti, con gran successo, a conciliare una misteriosa evasività camuffata da modestia, di stampo leonardesco, col carattere beatamente sereno della sua fiorente bellezza (che vorrebbe imprimerle un suggello luinesco). In realtà, essa persegue per l'artista lombardo l’idea d’una fase formativa di spinta soggezione leonardesca (come ad esempio quelle di Cesare da Sesto o Yanez de la Almedina), del tutto plausibile vista la predominanza di Leonardo a Milano, ed anzi la sua presenza fisica ancora alla fine del primo decennio del Cinquecento per la realizzazione della versione londinese della Vergine delle Rocce. Essa troverebbe appoggio nella sicura derivazione della presente tavola dalla Sant’Anna Metterza con San Giovannino ora al Louvre,
  ove soltanto si sciolto il piramidale gruppo Madre-Figlia, eliminandone l’imbarazzante instabilità col ridurlo alla sola Vergine, ora ricondotta a presenza maestosamente sovrastante, assumendo il ruolo regale che le compete. Lo testimonierebbe anche, del resto, la deduzione dalla tavola parigina del gruppo del Bambino che gioca coll’agnello, sia pur specularmente rovesciato.. Senonché questa deduzione dovrebbe essere avvenuta prima di quel 1512 in cui il Luini dipinge e data il Madonnone di Chiaravalle, in modi del tutto classicheggianti che, ove fosse necessario, lo mostrerebbe già emancipato dalla supposta dipendenza leonardesca, almeno nella misura che gli sarà poi sempre propria: mentre in realtà è certo che la Sant’Anna Metterza non fu mai a Milano prima del 1520, quando, essendo rimasta giacente tra i beni lasciati da Leonardo, vi fu condotta, forse da Francesco Melzi di ritorno da Amboise (è oggi conservata al Louvre perché donata al suo Re dal cardinale Richelieu, che l’ebbe nel 1629 all’assedio di Casale). E del resto, quest’idea ha potuto suonare attendibile soltanto fino a quando, negli anni ‘70 nel Novecento, s’è scoperta la vera, e sorprendente, fase giovanile di Bernardino Luini, nient’affatto leonardesca e del tutto dipendente, invece, da Marco Marziale e Bramantino: come documentano ad esempio, il Compianto di Cristo del Museo di Budapest, datato1506, e la Sacra Conversazione dello Jacquemart André, datata 1507, . In realtà, ancor più, ed a prima vista, allarmano sia la risonanza dell’ampio paese retrostante, che riesce a porre sulle spalle della Vergine l’incombente minaccia di candide montagne marmoree (un dato leonardesco, ma limitato all’Annunciazione di San Leonardo a Scopeto, che il vero Luini non poté mai conoscere), che l’evasività troppo spiccia del velato orizzonte acqueo, eccessivamente sintetica per un autentico tardoquattrocentista. Allo stesso modo, sarebbe stato per lui irrealizzabile il profondo bleu cobalto del manto della Vergine; ed addirittura per lui inconcepibile il raso drappeggiato come velo della Vergine, rivelatore pezzo di bravura da cui l’ottocentista falsario non è riuscito ad esimersi. A queste osservazioni si devono aggiungere quelle tecniche del lume eccessivamente flavo, della magrezza della materia e della mancanza d’ogni craquelure e segno d'invecchiamento della vernice. Così posti in allarme, non è difficile riconoscere come la presente composizione derivi da una molto tarda parafrasi del Luini del soggetto leonardesco, (del terzo decennio del Cinquecento, quando quel prototipo era ormai a Milano) documentata dal dipinto già in Collezione Lazzaroni Roma, che significativamente anticipa tutta la parte bassa del nostro, rinunciando all’intenibile pausa di paesaggio retrostante (che, al solito, è invece delineato come soffocantemente inespressivo) ed omettendo anche l’altro dato maggiormente sospetto, ovvero l’ambiguità maliziosa della Vergine. Del resto, che la tavola leonardesca, quando pervenne a Milano, divenisse spunto di riflessione per il Luini maggiore è documentato anche dall’affresco dello stesso soggetto nel lunettone di santa Maria degli Angeli a Lugano (dipinto verso il 1629) assai meno ambiguamente leonardesco, improntato cioè alla solita serenità liliale, ed un poco stucchevolmente incosciente, del vero Luini). Si deduce dunque che la tavola qui discussa è una ricreazione ottocentesca, probabilmente d’ambito milanese (nella stessa logica della copia del Molteni del Matrimonio della Vergine di Raffaello, ormai giunta a Brera) del dipinto già Lazzaroni, affascinante per via delle geniali ma equivoche variazioni in chiave leonardesca di cui s’è detto.

lunedì 14 dicembre 2015

Pseudo Bernardino Luini


Non è certo la prima volta che nei nostri negozi transitano dipinti di eccellenza: ricordiamo lo splendido San Michele Arcangelo di Giulio Cesare Procaccini, la Dama del Licinio, l'affascinante Battesimo di Cristo di Albani, solo per citarne alcuni. Oggi vogliamo presentare un'opera presente su Anticonline, ovvero un dipinto raffigurante la Madonna, Gesù Bambino e San Giovannino, copia di ambito lombardo di inizio ‘800, che alla sua straordinaria qualità aggiunge il fascino di una storia da raccontare, che proviamo qui a riassumere, rimandando il lettore al ben più esaustivo saggio del critico d'arte Angelo Dalerba che segue questo articolo.

anticonlinelarge_01

L’autografia può essere ricondotta come ipotesi (non dimostrabile e nemmeno in fondo necessaria, ma che ci introduce in un clima culturale che spira potente dalla tavola stessa) a Giuseppe Molteni (1800-1867), grande pittore, nato come restauratore e fascinoso riproduttore di copie, senza ancora l’ambiguità del falso d’intenzione, ma già precocemente nello spirito del revival dell’antico che attraverserà in modo differente tutto l’800. Proviamo quindi a ripercorrere la storia di questa tavola a partire dai dati a nostra disposizione: il dipinto, su tavola antica, proviene dalla famiglia L. che lo possiede dal terzo quarto dell’800. Fu acquistato ad una cifra assai importante come opera di gran pregio di Bernardino Luini, e sempre tramandato in famiglia, di generazione in generazione, come opera di eccezionale valore, opinione del resto confermata da antiquari ed esperti d’arte dell'epoca. Negli anni '60 la famiglia cominciò ad indagare sull’opera in modo più preciso, ed arrivarono i primi dubbi: l'evoluzione della critica d'arte, gli studi pubblicati, la maggiore accessibilità a repertori di immagini, iniziò a scalfire il mito di un'attribuzione tanto eccezionale. Restano di quel periodo le lettere inviate e ricevute dai periti di Sotheby, di Christie’s, del curatore della mostra monografica su Bernardino Luini, testimoni della giustificabile fatica della famiglia a rinunciare alla certezza di un possesso così prestigioso e alle conseguenti valutazioni economiche iperboliche ricevute negli anni. I mezzi di indagine più moderni hanno aiutato a risolvere la questione: la tavola è stata sottoposta negli anni '70 a indagine radiografica e, da quando è venuta in nostro possesso, a questa abbiamo aggiunto un'analisi dei pimenti stilistica affidata ad Angelo Dalerba, critico d'arte di grande competenza, acquisita in più di quarant'anni di lavoro sulla pittura antica, e un'analisi dei pigmenti affidata ad una restauratrice. Proprio da queste indagini scaturisce l'attribuzione di una prima stesura ad un restauratore-pittore della prima metà dell’800 (i pigmenti sono riconducibili a pigmenti usati a partire dal '700). Ma a questo punto la storia si complica, assumendo un'interessante inclinazione al “giallo”, ben spiegata nel saggio di Dalerba: la radiografia evidenzia un restauro di pochi decenni successivo che, oltre ad alcuni ritocchi ai volti, altera in modo significativo il paesaggio alle spalle della figura principale, introducendo, in modo piuttosto incoerente, un chiaro riferimento a Leonardo nell'innalzamento delle montagne a sinistra e un cedimento ad un gusto decisamente moderno nella velatura del paesaggio lacustre sulla destra. Se dunque nella prima stesura, copia di opera del Luini, non era ravvisabile alcun intento fraudolento, in queste modifiche invece si può percepire l’operazione del falsario (presumibilmente un primo proprietario, forse un antiquario?), che ha reso l’opera più vicina possibile ai modelli che all’epoca riconducevano a Leonardo, spostando in modo ambiguo l’opera a metà tra Leonardo e Luini, per indurre il compratore a pensare ad una “scoperta sensazionale”. Oggi a noi l’operazione pare ingenua: il paesaggio a destra con la sua caratteristica di indefinito che è frutto di tutta un'evoluzione pittorica non regge all'analisi stilistica come opera di autore cinquecentesco, e altrettanto incongruenti e facilmente confutabili a partire da dati storici sono gli elementi di sovrapposizione presenti nella tavola tra opere di Luini e di Leonardo. Eppure l’effetto è di una straordinaria bellezza e fascino: come sottolineato da Dalerba, ci troviamo di fronte ad una copia di eccezionale fattura, riverente omaggio ad uno dei più fecondi periodi della pittura italiana, ma anche opera di intrinseco valore, che ci introduce nella ricchissima atmosfera culturale del primo '800 italiano e ci testimonia della straordinaria perizia del suo pur ignoto autore.



mercoledì 11 novembre 2015

Georges De Feure

Georges de Feure (Parigi 1868-1943), nato Georges Joseph van Sluyters, figlio di un benestante architetto olandese di Parigi fu un artista versatile. Allievo di Cheret, ha creato dipinti, mobili, porcellane e ceramiche, moquette, argenteria e gioielli così come illustrazioni i ben noti manifesti pubblicitari. É stato anche scenografo e designer d'interni.
Nel 1890 diventa allievo di Jules Chéret, progetta i manifesti per il Salon des Cent, Loie Fuller e Thermes Liegois. I suoi dipinti sono stati esposti presso la Societé Nationale nel 1894, al Salon de la Rose Croix del 1893 e il 1894, e al 1896 Secessione di Monaco. In questo periodo, è stato anche progettista interni ricoprendo la carica di 'Professore di Arti Decorative' presso l'Ecole des Beaux-Arts. Alcune delle migliori opere di De Feure sono proprio i manifesti fatti nello stile Art Nouveau, di solito contenente eleganti giovani donne dipinte nei toni del marrone, verde e rosa, con influenze giapponesi. De Feure fu anche pittore ed acquarellista, la sua ispirazione simbolista fu la figura femminile nelle sue componenti erotico-sadiche in una garbata ed allusiva simbologia floreale. Samuel Bing venne a conoscenza delle opere di George De Feure dopo aver visto molti dei i suoi dipinti esposti nei saloni parigini e le illustrazioni per riviste. Nel 1894 De Feure, spostato dalla pittura alla progettazione di arti decorative, espone mobili decorati e ceramica al Salon de la Nazionale Beaux Arts. Era conosciuto per la creazione di mobili di fascia alta destinati ad acquirenti di elite. De Feure divenne rapidamente uno dei migliori designer della Maison de l’Art Nouveau, realizzando alcuni fra i più delicati mobili liberty del periodo. Paraventi, divanetti e poltroncine di snella gracilità realizzati in legno lievemente intagliato ed inciso a motivi vegetali, accostato spesso a stoffe dai colori tenui e dai disegni raffinati che rinsaldavano il legame con la grande tradizione di ebanisti, scultori, decoratori, stuccatori e tappezzieri attivi negli allestimenti regali del Settecento francese ricalcando, contemporaneamente, anche le stesse caratteristiche della sua arte grafica. Pur non avendo mai firmato un contratto in esclusiva con Bing, De Feure ha lavorato principalmente per il rivenditore parigino. De Feure venne premiato con la medaglia d’oro nel 1900 all’ Exposition Universelle di Parigi. I suoi lavori sono stati presenti nella galleria di Bing dal 1895 fino alla sua chiusura nel 1904, un anno prima della morte di Bing. Nel 1902 il suo lavoro è stato presentato in occasione della prima Salon Des Industries Du Mobilier al Grand Palais di Parigi. Prima dello scoppio della WW1, si trasferì in Inghilterra, dove lavorò principalmente come scenografo. Nel 1928 De Feure tornò a Parigi dove venne nominato professore presso l'École Nationale Supérieure des Beaux-Arts. Ha continuato a lavorare ed insegnare per tutto il periodo dell’Art Deco fino alla sua morte nel 1943. Le opere disponibili su Anticonline Il mobilio in legno dipinto che proponiamo ricalca per stile costruttivo e caratteristiche decorative le tipiche produzioni di George De Feure di inizio secolo.
 Salotto De Feure

Il salotto è composto da un divanetto a due posti, una coppia di poltroncine, quattro sedie ed un tavolino rettangolare.

Divanetto de Feuredivanetto de feure

  Le analogie stilistiche tra il nostro salotto dalle linee sinuose e morbide e il divano di George De Feure presente al museo danese di arte e design di Copenaghen sono evidenti.

  de Feure de feure seduta

Le volute delicatamente sinuose che caratterizzano il salotto e il motivo dello schienale traforato a tema floreale, appaiono molto simili all’esemplare museale e perfettamente ascrivibile agli stilemi tipici della produzione dell’artista parigino.      

  Bibliografia Liberty Art Nouveau - Giunti Editore - Lara Vinca Masini Il mobile del Novecento -De Agostini- Ornella Selvafolta Wikipedia.org

lunedì 2 novembre 2015

L’Art Nouveau parigina e la Maison Bing


L’avvento del nuovo secolo, accompagnato da una spinta di forti cambiamenti sociali e di costume, porterà in tutta Europa e non solo una voglia di rinnovamento e novità che condizionerà profondamente le produzioni artistiche a cavallo tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Lo stile che si imporrà dominante prenderà nomi e peculiarità differenti a seconda delle nazioni europee e anche oltreoceano, ma convergerà indiscutibilmente verso quella che oggi definiamo come l’Arte Nuova. Sotto il termine Art Nouveau sono quindi raggruppate molte variazioni stilistiche il cui scopo era comunque il medesimo: in ogni paese gli artisti cercarono di liberare il loro lavoro dai preconcetti e dalle restrizioni imposte dal passato, sradicando il significato stesso di arte elitaria e classista per gettar le basi di quello che oggi chiameremmo un concetto globale di Design internazionale. Non deve stupire, quindi, la variabilità di opere liberty che si produssero in questo periodo e che vollero spaziare negli ambiti più diversi; dalla realizzazione architettonica di interi quartieri cittadini, alle straordinarie costruzioni in ghisa delle stazioni della metropolitana parigina, passando per sinuosi arredi da salotto fino ad arrivare alla zuccheriera o al set di posate di uso quotidiano.  
Lo sviluppo dell’Art Nouveau in Francia e la Bottega Bing
Siegfried "Samuel" Bing (Amburgo, 1838 – Vaucresson, 1905) è stato un mercante d'arte e critico d'arte tedesco naturalizzato francese; fondatore della galleria d'arte e negozio L'Art Nouveau - La Maison Bing a Parigi, e della rivista Le Japon artistique, fu un punto di incontro per diversi artisti come Edvard Munch, Auguste Rodin, Henri de Toulouse-Lautrec, Georges-Pierre Seurat e molti altri. Fu la sua galleria ad ispirare il nome del movimento artistico legato alla Francia dell'epoca, chiamato, appunto, Art Nouveau. 
Nato ad Amburgo, in Germania, da una famiglia benestante, suo padre era decoratore industriale di ceramiche. Specializzatosi sull'arte giapponese, Bing studiò prima con suo padre e poi si trasferì a Parigi, nel 1854, per lavorare nella società del padre. Dopo la fine della Guerra Franco-Prussiana, fondò una società per il commercio di opere artistiche, importando principalmente dal Giappone. Durante l'Esposizione Universale del 1867, il padiglione di Bing, ricevette un premio speciale. Da quel momento, il mercante iniziò a farsi un nome all'interno non solo dell'ambiente commerciale ed espositivo, ma anche in quello artistico. Durante un viaggio negli Stati Uniti nel 1894, commissionatogli dal governo francese per studiare la situazione artistica americana, Bing incontrò Louis Comfort Tiffany, mastro vetraio, con il quale iniziò una collaborazione. Da lì, continuò il suo viaggio per tutta l'Europa, cercando ispirazione ed artisti per le sue mostre. Il risultato del viaggio fu la nascita, a Parigi, della galleria d'arte L'Art Nouveau - La Maison Bing, arredata da Herny Clemens Van De Velde che, nel dicembre del 1895 ospitò una mostra di diversi artisti europei. Bing partecipò nuovamente all'Esposizione Universale di Parigi, nel 1900, dove gli oggetti da lui presentati ebbero un grande successo di pubblico e di critica. Fu soprattutto in questa occasione che trionfarono i mobili e i complementi d’arredo di Guimard, Majorelle, Gaillard, De Feure e molti altri che si aggiungevano ai nomi di artisti fondamentali come Tiffany, Rodin, Mackintosh, Gallè e Lalique. Bing seppe quindi attrarre a Parigi le personalità più importanti dell’arte di tutto il mondo, permettendo alle arti applicate di raggiungere un grado di maturità e di diffusione notevolissime. Siegried Bing morì a Vaucresson, in Francia, nel 1905. Con il suo lavoro di diffusione dell'arte, Samuel Bing riuscì a creare il gusto di una società e di un periodo storico. Ispirò e influenzò la produzione artistica dei personaggi legati all'Art Nouveau e non solo. Amanti delle linee semplici e "minimaliste", Bing e gli artisti dell'Art Nouveau si legavano all'idea dell'"opera d'arte totale", proseguendo e realizzando le tesi anglosassoni dell’Art & Craft, in una produzione artistica che abbattesse l'idea di superiorità di un'arte rispetto ad un'altra e che fondesse in sé tutte le arti, anche quelle considerate comunemente "minori". La destinazione quotidiana degli oggetti artistici, il coabitare di diversi materiali e intenti, elementi presenti in queste opere, superavano la concezione comune di "artistico" e stravolgevano il senso intellettuale ed elitario dello stesso termine di arte. In questo senso, ogni oggetto, anche il più comune, si trasformò in opera d'arte ospitata nella quotidianità e nella familiarità delle case divenute, in qualche modo, gallerie d'arte.
  Maison Bing  

Bibliografia
Liberty Art Nouveau - Giunti Editore - Lara Vinca Masini Il mobile del Novecento - De Agostini - Ornella Selvafolta Wikipedia.org


giovedì 22 ottobre 2015

Una specchiera da camino torinese



Che uno tra i pionieri dello stile rocaille in Francia fu un disegnatore e architetto di chiare origini piemontesi, forse non è cosa universalmente nota. Nominato da Luigi XV Dessinateur de la chambre et du cabinet du roi nel 1726 e autore del celeberrimo Livre d’ornament pubblicato nel 1734, Juste-Auréle Meissonier era di fatto nato a Torino, nel 1695. Cosa interessante se si pensa che di tutti gli Stati che frammentavano la nostra penisola nel XVIII secolo, nessuno si avvicinò tanto al gusto parigino del tempo quanto il Piemonte. Forse naturale conseguenza della continuità territoriale, quest’attitudine fu senz’altro incoraggiata dagli stretti legami dinastici che intercorsero tra le due famiglie regnanti e dall’influenza politica che Parigi esercitò sul Regno sabaudo a fasi alterne. Eppure, l’ascendente e il fascino emanato dalla Grandeur d’oltralpe non fu tale da offuscare l’orgoglio di una dinastia da sempre impegnata nell’ambizioso progetto di ampliare i confini dei propri possedimenti, con la ferrea intenzione di mantenere una salda autonomia. L’esito dell’assedio di Torino del 1706 da parte dei Francesi, ne è un sapido esempio: la città resistette coraggiosamente per centodiciassette giorni, fino a che Vittorio Amedeo II ed Eugenio di Savoia non giunsero finalmente in soccorso alla popolazione stremata, costringendo alla ritirata l’esercito di Luigi XIV. Trentamila uomini ebbero la meglio contro quarantasette mila. Questo episodio la dice lunga sul rapporto di fiera indipendenza che seppe dirottare l’ammirazione e il desiderio di emulazione in una direzione del tutto autonoma, delineando uno stile proprio, fedele alla propria identità.
Se un intelletto illuminato, per di più francese come il De Brosses, arrivò a definirla “la più bella città d’Italia e forse d’Europa” si può solo riconoscere che Vittorio Amedeo II, fresco del titolo di Re di Sicilia, fu assai lungimirante nel chiamare a Torino l’architetto messinese Filippo Juvarra e ad affidargli il compito di ammodernare la città per renderla degna di essere capitale di un Regno. E’ il 1714, Filippo Juvarra, allievo di Carlo Fontana, già noto presso varie corti europee in qualità di scenografo e progettista di apparati cerimoniali, possiede una tale versatilità e abilità nel manipolare lo spazio architettonico da ridefinire in breve tempo la prospettiva del capoluogo sabaudo. Ma la sua opera sarà fondamentale anche per lo sviluppo del décor cittadino: gli interni dei Palazzi, l’allestimento e la decorazione degli ambienti risentono della sua influenza, del resto non potrebbe essere altrimenti dal momento che egli stesso si occupa in prima persona degli appartamenti Reali ed esistono disegni di mobili di sua mano. I suoi modelli ispirano così i decoratori e i minusieri torinesi che riescono a dare nuova freschezza, rielaborandole, tipologie di arredo del tutto caratteristiche perché realizzate solo qui. Attribuito ad un anonimo intagliatore piemontese, appartenente con ogni probabilità alla cerchia dello Juvarra, e datato 1722 è il progetto per una caminiera oggi alla Fondazione Sella di Biella (Fig. 1 - Fondo F.Maggia, n. 564). L’annotazione sul foglio, redatta in una corsiva personale già tipicamente settecentesca, cita: “Guarnitura per fornello per il Gabinetto Grande di Sua Altezza reale verso levante”. Non è affatto difficile riconoscere in quel modello le realizzazioni che si possono ammirare ancora oggi, percorrendo alcune sale del Palazzo Reale e di Palazzo Madama. Del tutto prossimo al nostro disegno, seppur di esecuzione un po’ più tarda, ci pare infatti l’allestimento del Salotto delle Cameriste, a Palazzo Reale (Fig. 2), dove la specchiera da camino presenta quello stesso motivo a doppia lesena che si trova nel progetto del 1722 ed è allo stesso modo sovrastata da un’alta cornice ospitante un dipinto, in questo caso il ritratto di Maria Adelaide di Savoia, figlia di Vittorio Amedeo II, ad opera di Pierre Gobert. Anche se l’ornato e i volumi risultano più lievi che nello studio, la foggia è pressoché la stessa. L’intera decorazione della sala si colloca tra il 1730 e il 1740, anni in cui l’attività di rinnovamento degli appartamenti reali sotto la regia dell’architetto siciliano si fa più intensa ed interessante. Ma, dicevamo, si tratta di un tipo di mobilio peculiarmente torinese, e di fatto lo troviamo già eseguito nei primissimi anni del ‘700 per “l’appartamento nuovo” della Madama Reale Maria Giovanna di Savoia Nemours, madre di Vittorio Emanuele II (Fig. 3). Qui, certo, i robusti fregi laterali e la carnosa voluta del coronamento della cornice, abilmente intagliati da Michele Crotti, osservano ancora i dettami di un gusto pienamente barocco, ma l’impostazione d’insieme rimane identica. Anche qui una tela, incorniciata da ridondanti arabeschi intagliati, domina la specchiera: si tratta dell’immagine di Carlo Emanuele II, marito della sovrana, firmata da Lorenzo Dufour. Ma in una società come quella torinese, dove si trovava una tale comunità di rapporti tra ceti diversi quale non si trovava in nessun’altra città dell’epoca, questo specimen non poteva certo rimanere prerogativa esclusiva dei Palazzi Reali, così alla tavola 154 del catalogo Museo Civico di Torino edito nel 1963 a cura di Luigi Mallè, è riprodotta una caminiera del tutto simile come concezione agli esemplari aulici fin qui incontrati (Fig. 4), ma che verosimilmente doveva aver adornato il salone buono di una di quelle famiglie della nobiltà di origine borghese fortemente voluta da Vittorio Amedeo. Caminiera tavola 154 Museo Civico Torino 
particolare motivi ornamentaliLa specchiera disponibile su Anticonline: Collocabile al primo quarto del XVIII secolo, presenta una cornice riccamente intagliata con elementi decorativi ancora tardo seicenteschi. Probabilmente di simile provenienza, la specchiera che qui presentiamo s’impone come una perfetta e riuscita esecuzione del genere di arredo fin qui osservato. Di pregevole fattura e squisito intaglio, vi si ritrovano tutte le caratteristiche sino ad ora incontrate, pur non potendo evitare di scorgervi un che di inedito: le doppie lesene, che vanno a costituire i lati della cornice, sono accostate in un modo affatto insolito, offrendo un senso di tridimensionalità del tutto nuovo. Il motivo che le sormonta si scosta anch’esso dalla rigida formalità dei modelli precedenti (Fig. 5) e rammenta vagamente le decorazioni dal sapore bizzarro e fantasioso delle tavole di Jean Berain, il celebre disegnatore ed incisore di Luigi XIV ideatore di uno stile inconfondibile, emulato in tutta Europa. La cimasa, poi, ben più alta e articolata rispetto alle precedenti, è costituita da un fitto intreccio di fiori , foglie e agili svolazzi (Fig. 6) Ci troviamo di fronte ad una felice espressione della rocaille piemontese. Probabilmente riconducibile al terzo quarto del Settecento, questa importante caminiera, manifestazione di un archetipo acquisito, sintetizza felicemente elementi di sapore ancora Luigi XIV, seppur svaporati della loro rigidezza formale, e nuove fogge ed ornamentazioni già pienamente settecentesche, testimoniando come lo stile rococò a Torino si mantenne sempre contenuto entro precisi limiti e per quanto vicino alla Francia, fu distante dalle sue esuberanze. Bibliografia: DISEGNARE L’ORNATO, Interni piemontesi di Sei e Settecento, a cura di Giuseppe Dardanello, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI TORINO, TORINO 2007 MOSTRA DEL BAROCCO PIEMONTESE, PALAZZO MADAMA – PALAZZO REALE – STUPINIGI, CATALOGO, Vittorio Viale, Volume III, TORINO 1963 PALAZZO MADAMA, Gli appartamenti delle Madame Reali di Savoia 1664 e 1724, Francesca Filippi, PROGETTO PALAZZO MADAMA, Quaderno 3, TORINO 2005 MUSEO CIVICO DI TORINO, Catalogo, Mobili e arredi lignei, Arazzi e bozzetti per arazzi, Luigi Mallé, TORINO 1972

mercoledì 14 ottobre 2015

Aesthetic Movement

Il movimento estetico, più tipicamente conosciuto a livello letterario, dal punto di vista delle arti applicate fu una sorta di particolare nicchia ascrivibile al più generale movimento delle Art And Craft inglesi. Vide la sua paternità nelle tesi e negli studi del saggista e scrittore inglese Walter Pater (1839-1894).
Studioso di Ruskin, cristallizzò nelle sue tesi il culto della bellezza, pur minato da un serpeggiante malessere che troverà nei suoi seguaci una più manifesta espressione, esaltandone un aspetto quasi religioso della vocazione estetica e giustificando il completo affrancamento del fatto artistico da qualsiasi impaccio o remore valoriale. Il movimento fu fondamentale in rappresentanza di una rottura completa con le idee che erano alla base della letteratura e della società vittoriana. La corrente artistico-letteraria ebbe una trasposizione anche nelle arti applicate, grazie soprattutto all’architetto gallese Owen Jones (1809-1874), e nella produzione di mobili in stile estetico che caratterizzò esclusivamente il XIX secolo. I tratti peculiari di tali produzioni di ebanisteria si ritrovano in mobili costruiti spesso in legno ebanizzato con lumeggiature e parti dorate, presentanti decori a sfondo naturalistico come fiori, uccelli, foglie di ginkgo e piume, anche intagliati, ed eventuali inserti in porcellana o in pannelli dipinti. In generale un impianto decorativo ed estetico simile allo stile letterario di riferimento, dove il tema della sensualità e della natura appare evidente. La produzione di tali mobili è stata presumibilmente circoscritta a pochi anni intorno alla fine dell’800, per poi pressoché sparire con il nuovo secolo.

Le opere disponibili su Anticonline:
- Credenza Ebanizzata con vani laterali a giorno decorati con fondo dorato e inciso. Presenta coppia di ante intagliate e di cassetti. Alzata con balconcino e specchio bisellato centrale e coppia di formelle dipinte con ninfe in contesto floreale su fondo dorato. Retta da gambe tornite raccordate da ripiano. Profili dorati. Interamente ebanizzata.
Credenza Ebanizzata Aesthetic Movement

- Credenza scantonata con alzatina, presenta vani a giorno e anta centrale con vetro bisellato e pannello ebanizzato, medaglione dipinto. Nell'alzata specchio e pannelli ebanizzati con formelle dipinte. Presenta colonnine ebanizzate, incisioni e decorazioni tipiche delle produzione Aesthetic Movement.

 Credenza Aesthetic Movement

lunedì 5 ottobre 2015

La Shapland & Petter Furnitures

La Shapland & Petter Furnitures venne fondata intorno alla metà del XIX secolo nella città fluviale di Barnstaple North Devon in Inghilterra da Henry Shapland, ebanista di professione. Con Henry Petter, contabile e venditore, inizierà la collaborazione che porterà in breve tempo la Shapland e Petter Ltd ad ruolo predominante nell'economia della città, riuscendo ad impiegare fino a 350 artigiani alla volta come designer, intagliatori, ebanisti, macchinisti, lucidatori e operai. La società fu anche una delle prime di installare dispositivi salva-lavoro americani e ad adottare macchinari di avanguardia. Caratteristiche distintive della produzione Shapland e Petter furono l'uso dell’intaglio a foggia di cuore, le forme geometriche con archi angolati e l'applicazione di pannelli di rame a sbalzo. Decorazione con intarsi spesso raffiguranti baccelli di semi e germogli, inserti in metallo, il montaggio di cabochon in ceramica e smalto erano tecniche padroneggiate con maestria grazie alla combinazione di capacità di tradizione artigianale e uso di macchinari innovativi. Tutto questo concorse al prestigio della factory rinomandola per le produzioni estremamente ben fatte, curate e caratterizzate da materiali di alta qualità. Si presume che lo stesso Ashbee, intorno alla fine deXIX secolo, abbia tenuto un corso di diverse settimane sulla progettazione e decorazione di mobili proprio presso lo stabilimento di Shapland e Petter; coinvolgendo il loro personale e quelli di altri produttori di mobili locali. Risulta interessante la somiglianza tra alcuni dei suoi disegni e quelli utilizzati dal Shapland e Petter, in particolare in relazione al disegno floreale intarsiato.  

sabato 26 settembre 2015

Open day 3 Ottobre: CorsiArte per Deutsche Bank

Sabato 3 ottobre, guide esperte accompagneranno i gruppi in visita alla Collezione d’arte contemporanea di Deutsche Bank Collection in Italia. Per l’occasione la mostra allestita in via Turati si arricchisce di numerose opere provenienti dalla sede di Milano-Bicocca.

Lessico delle relazioni
CorsiArte con Deutsche Bank, per il secondo anno consecutivo, nell’apertura straordinaria al pubblico della Collezione d’Arte contemporanea della sezione italiana della Deutsche Bank Collection. L’esposizione, dal titolo“Lessico delle Relazioni”, si terrà sabato 3 ottobre 2015 presso la sede di Deutsche Bank Italia a Milano, via Turati 27. Il tema ispiratore è la “società liquido-moderna” dalla definizione coniata da Zygmunt Bauman, uno dei più significativi intellettuali del nostro tempo. L’occasione è la 14a edizione di “Invito a Palazzo”, la manifestazione organizzata dall’Associazione Bancaria Italiana (ABI) che promuove l’accesso del pubblico alle sedi e ai patrimoni artistici delle banche in Italia, solitamente inaccessibili. Nel palazzo di via Turati saranno esposte eccezionalmente opere inedite provenienti dalla sede di Milano-Bicocca. Il pubblico potrà incontrare e porsi a confronto con due artisti in mostra: Alberto Garutti e Gianni Caravaggio. Info: Apertura dalle ore 10 fino alle 19 Dalle ore 18 alle 19 incontro con gli artisti Per partecipare è obbligatorio registrarsi, scrivendo a db.openday@corsiarte.it o chiamando il numero +39 347 1212 831. CorsiArte si è occupata del coordinamento scientifico insieme con la storica dell’arte Angela Madesani, docente della scuola fin dalla fondazione oltre venti anni fa, che ha curato l’evento. Guide esperte condurranno i gruppi in visita alla scoperta di un percorso narrativo inedito. Lessico delle Relazioni Le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che il loro operare riesca a consolidarsi in abitudini e procedure. L’esito è un mondo veloce in cui tutto si trasforma, poco può essere previsto, e dove la tradizione e la memoria svolgono ruoli completamente diversi da ciò che è stato finora. Talvolta l’arte gioca in controtendenza al suo tempo: così per Andrea Salvino, il cui lavoro potrebbe essere inteso come una pagina di storia non ufficiale scritta per immagini come in Loin du Vietnam (2007). Siamo in un ambito di impegno sociale e politico con lavori come quello dell’artista tedesca Rosemarie Trockel, che a partire dagli anni Settanta ha indagato la nozione di femminilità (Senza titolo, 1993), mettendo in crisi le categorie tradizionali di genere e specie; dell’italiano Danilo Correale The Future in Their Hands (the visible hand) (1982), incentrato sull’ambiguità della soggettività del potere; dell’albanese Adrian Paci (The Encounter, 2011), documentazione di una performance in cui l’artista è entrato in contatto fisico con il pubblico. Milano. Ritratti di fabbriche di Gabriele Basilico (1978-80) non è uno studio di archeologia industriale e neppure un’indagine di matrice sociale in senso tradizionale. L’accento è posto piuttosto sul rapporto tra gli spazi, mentre Dancing in Emilia (1978-80) è un viaggio nel popolare mondo del ballo emiliano, in cui le relazioni fra le persone diventano determinanti. Relazioni fra spazi, corpi, loro percezione e frontiere tra realtà e surrealtà nelle fotografie di Armin Linke (Venetian Hotel Las Vegas - Nevada, 1999), una confusione iconografica in cui diviene difficile districarsi. Sternenbilder 07h48m7s (s.d.) è un ready made fotografico di Thomas Ruff, tra i più importanti allievi dei Becher, utopico tentativo di rappresentare l’infinito evidenziando il senso del limite. La storia dell’arte del passato è un momento di riferimento determinante per alcuni artisti di questo percorso come Matteo Bergamasco il cui punto di riferimento primigenio è il Beato Angelico. Nelle sue opere pittoriche, come Turquoise life (1982), vi sono riferimenti all’attualità; ci troviamo di fronte a resoconti di viaggio, in cui atmosfere esoteriche e spirituali si avvicendano, con un dichiarato riferimento a un impalpabile concetto di eternità. Rimandi alle avanguardie storiche, in particolare a Francis Picabia, emergono nell’opera del tedesco Bernhard Martin, Aire Je t’embrasse (1966). Martin, come già il pittore franco-spagnolo, ha un chiaro interesse nei confronti delle relazioni sessuali, sottolineate dalla presenza ironica delle sue invenzioni meccaniche, strettamente legate al mondo Dada. Tre figure con la conoscenza assoluta (il solido platonico), la bomba e l’agnello d’oro (2011) sono la sacra quanto simbolica famiglia di Luigi Presicce. Quelli ai quali dà vita l’artista salentino sono impianti scenici-narrativi fatti di simboli e figure allegoriche, studiate e metabolizzate nel tempo. L’opera di Gianni Caravaggio Fuoriuscire dal Buio ed entrare nella Notte (2009) è parte di una serie di lavori che ha dedicato all’immaginazione dell’Inizio, inteso come gesto cosmogonico, ma anche come momento iniziale dell’arte, in cui è la purezza della sua essenza. Numerosi sono gli artisti, presenti in collezione, che hanno lavorato sul tema delle relazioni familiari, affettive. Moira Ricci ha dedicato uno dei suoi più noti cicli di lavori alla madre. Il titolo è Mamma in macchina (2009). Il richiamo è a Roland Barthes e al suo imprescindibile studio La camera chiara. Il lavoro di Moira Ricci è una ricostruzione di storie realizzate con l’ausilio di Photoshop; si mette così in crisi la certezza che la fotografia sia traccia, testimonianza: con il digitale le cose cambiano ed è così possibile ribaltare il concetto che è stato alla base della fotografia per oltre 150 anni. Un mondo familiare, intimo è quello proposto da Marcello Maloberti in La vertigine della signora Emilia 2 (1992), in cui la mamma e la nonna dell’artista sono vestite di una tunica ricavata da una tovaglia a scacchi bianchi e rossi che rimanda all’idea del ristorante italiano tipico in un’atmosfera destabilizzante, dando vita a un dipinto astratto di ascendenza quasi neoplastica. Il mondo dell’infanzia, della famiglia è protagonista con i suoi gruppi, le sue bande nel lavoro dell’argentina Carolina Raquel Antich. Quella da lei raccontata non è un’infanzia innocente, l’idillio è solo apparente, vi è una sorta di perversione di fondo. La tenerezza qui non è ingenuità: si salvi chi può, come il titolo di un suo lavoro. Piccoli personaggi dai colori pastello popolano le opere di Nicola Gobbetto, che pone la sua attenzione su un particolare momento dell’esistenza, l’adolescenza, per riuscire a conquistare una propria identità come in MARS Edition (2009), un quesito esistenziale al quale è difficile, forse impossibile, dare una risposta. Domande di ogni tipo, surreali, assurde, ironiche, normali sono quelle proposte da Fragen (2004), l’ampio lavoro installativo degli svizzeri Peter Fischli e David Weiss. È la prosecuzione di un work in progress durato oltre vent’anni, iniziato con Fragentopf, del 1984, una scultura in poliuretano, sulla quale si affastellavano una serie di interrogativi. L’interrogazione diviene un modo per esplorare se stessi, i propri recessi più reconditi e per mettersi dunque in relazione con gli altri. Il percorso comprende anche la riproduzione fotografica dei lavori Site Specific, realizzati per la sede di Milano-Bicocca, di Lara Favaretto e Alberto Garutti, collocati in punti diversi dell’edificio. Una delle tante - One is as good as the other, (1999-2007) di Lara Favaretto, con fotografie di Armin Linke, è una riflessione sull’autonomia dell’arte e sulla sua eventuale dipendenza da condizionamenti esterni. L’artista ha fotografato persone in relazione tra loro in diversi momenti, durante le prove settimanali di un coro. Favaretto è intervenuta solo nella scelta del luogo, uno studio fotografico, un luogo neutro. Interessante è la relazione che si viene a creare tra le opere, tutte di diverso formato, e i dipendenti di Deutsche Bank che vi si trovano quotidianamente a stretto contatto diventando in qualche modo parte dell’opera. Site Specific è anche l’opera Che cosa succede nelle stanze quando gli uomini se ne vanno? (2007) di Alberto Garutti. Si tratta di nove semplici panche, apparentemente lontane da quanto normalmente si intende per opera d’arte. Il fulcro dell’opera è il concetto di comunicazione: l’artista crea occasioni perché le persone possano mettersi in relazione tra loro. Quando di sera le luci della banca si spengono, le panche iniziano a illuminarsi acquistando una vita propria. Possiamo parlare di estetica relazionale, tirando in ballo Nicolas Bourriaud. Nel mondo attuale, caratterizzato appunto da tempi e dinamiche liquide e omologanti, l’opera relazionale viene così a costituire uno spazio in cui si creano o forse semplicemente si auspicano alternative di vita possibili. Collezione d’Arte contemporanea di Deutsche Bank in Italia, via Turati 27 Apertura al pubblico sabato 3 ottobre, ore 10-19 ore 18-19 incontro con gli artisti Alberto Garutti, Gianni Caravaggio Ingresso libero, prenotazione obbligatoria alle visite guidate +39 347 1212 831 db.openday@corsiarte.it Durata visite guidate: 30 minuti Partenza dei gruppi: ogni 10 minuti Scopri gli orari dei percorsi su: www.db.com/italia Come raggiungere la mostra: M3, Turati | M3, Repubblica; Tram 1, Donegani-Moscova | Tram 9, 33, Repubblica 

Progetto e coordinamento scientifico di CorsiArte antiquaria, moderna, contemporanea Dal 1994 è l’unica scuola italiana di qualificazione professionale in tutti i settori della storia dell’arte antica, moderna e contemporanea, dalla pittura alle arti decorative: mobili, design, fotografia, ceramica, argenti, gioielli, vetri, tappeti e arti tessili. La scuola propone un percorso culturale completo, strutturato e sistematico che porta alla formazione di diverse figure professionali nel campo dell’arte, fornendo un patrimonio di conoscenze storico-artistiche e tecnico-diagnostiche unico nel suo genere. In questi ultimi anni ha ampliato il campo d’azione mettendo a disposizione il suo know-how per la realizzazione di mostre d’arte, dal progetto al coordinamento scientifico alla comunicazione.  

Mostra a cura di Angela Madesani Storica dell’arte e curatrice indipendente, è autrice, tra le sue pubblicazioni, dei volumi Le icone fluttuanti Storia del cinema d’artista e della videoarte in Italia e Storia della fotografia per i tipi di Bruno Mondadori. Ha curato numerose mostre presso istituzioni pubbliche e private italiane e straniere, collabora con alcune testate di settore. È autrice di numerosi volumi su prestigiosi autori fra i quali: Gabriele Basilico, Giuseppe Cavalli, Franco Vaccari, Vincenzo Castella, Francesco Jodice, Anne e Patrick Poirier, Werner Bischof. A Milano svolge attività di docenza all’Accademia di Brera, all’Istituto Europeo di Design e alla scuola CorsiArte.  

Visite guidate da Bianca Campagnolo, Viola Matteucci, Giorgia Quadri, Luca Rotondo.

giovedì 24 settembre 2015

Art & Crafts


A partire della seconda metà del XIX secolo l’Europa viene scossa da profonde trasformazioni sociali, industriali ed economiche. L’industrializzazione galoppante del tardo ottocento inglese pone le basi per lo sviluppo di nuove tecniche di costruzione, la creazione di nuovi materiali e la produzione massificata, mutando per sempre il concetto di lavoro umano. Molto presto però si afferma la consapevolezza che, nonostante il progresso tecnologico e le nuove possibilità industriali, le classi sociali meno abbienti restano ancora confinate in una condizione di subordinazione entro i limiti della povertà e delle restrizioni economiche e culturali.  
In questo tipo di situazione nasce e prende piede una forte necessità di riformare in maniera rivoluzionaria e profonda tutte le sfere della vita sociale e delle attività umane, arte compresa, tant'è che nel 1888 a Londra si costituisce il movimento Arts & Crafts Society che si diffonderà poi sia nell’Europa continentale che negli Stati Uniti. Alla base di questo movimento culturale ed artistico c'è la rivalutazione del lavoro artistico-artigianale: la lotta riformatrice è rivolta essenzialmente contro lo scadimento abbruttito del lavoro meccanizzato. Tra i padri del movimento si ricordano John Ruskin, William Morris e Walter Crane. John Ruskin, letterato e critico d’arte, condannava la meccanizzazione industriale dellavoro e i suoi aspetti mercantili ed esaltava invece l’esecuzione artigianale, ritenuta condizione necessaria e positiva per l’espressione di individualità nel lavoro e quindi come base per l’attività artistica. William Morris, pittore, decoratore e grafico, fu tra i primi a seguire nella pratica i dettami di Ruskin legando la propria attività artistica all’ideale di miglioramento del gusto, interpretandola come mezzo di riforma e considerandola lo strumento più diretto di penetrazione in tutti gli strati sociali. Walter Crane, pittore, grafico ed illustratore, studioso dei lavori dei Preraffaelliti e delle arti decorative giapponesi fu anche direttore del movimento per un breve periodo. La rivoluzione artistica Art & Crafts non avrebbe potuto esplodere senza aver prima abbandonato totalmente gli schemi e i dettami artistici dominanti alla fine del xix secolo. A tal proposito Ruskin affermava “Non passa giorno senza sentire che ai nostri architetti inglesi è stato chiesto di essere originali e di inventare un nuovo stile.” Da questo nasce la trasformazione in quella che verrà descritta come una nuova idealizzata Gesamtkünstwerk -Arte Totale- intesa nella sua espressione di più diretto contatto con gli atti della vita, nella loro applicazione dentro la quotidianità , cioè nell'oggetto di artigianato. Una rivoluzione artistica che affonda le sue radici nell'era medioevale corporativa e nella corrente pittorica inglese dei Preraffaelliti, diviene pratica concreta di realizzazione di architetture, arredi, tappeti, tessuti, mobili e monili; con un rapporto inscindibile tra prodotto e produttore, tra creazione e creatore che, nonostante sia caratterizzata dall' essere riprodotta serialmente in quanto standardizzata e codificata, pone le basi dei principi del design moderno, come produzione eterogenea, ariosa e assai più moderna dell'industria del tempo. Significativo l'appellativo con il quale gli stessi artisti aderenti all’ Art and Crafts si definivano ironicamente "operai d'arte".

I preraffaelliti


La corrente pittorica dei preraffaelliti, detta confraternita, è stata una scuola pittorica britannica di epoca vittoriana. Il termine “preraffaellita” fa riferimento a una tipologia di arte esistita prima di Raffaello Sanzio, pittore ritenuto colpevole di essere stato l’artefice dell’avvento dell’accademismo pittorico cioè di una tecnica espressiva adagiata sulle esigenze del potere costituito, votata all’imitazione degli antichi e spesso vuota di contenuti e messaggi. La nascita della corrente dei preraffaelliti che aborrano la pittura vittoriana e accademica in senso generale, a favore di un’arte più libera, capace di rifarsi ai temi fiabeschi, storici ma anche sociali ben si coniuga con l’adesione alla nuova concezione artistica coagulatasi intorno al movimento “Art and Craft” di Morris e soci. Dante Gabriel Rossetti (1828-1882) ne fu tra i maggiori esponenti e rappresentanti, collaborando per diverso tempo con lo stesso Morris.  


Il ritorno al gotico Padre fondatore di tutto il pensiero che farà da pilastro delle nuove teorie artistiche dell’ “Art & Craft” è Augustus Pugin (1812-1852) architetto inglese tra i principali promotori dello stile neogotico. La sua opera maggiore è il palazzo di Westminster a Londra. Pugin, del quale Ruskin è seguace e studioso, sottolinea ed enfatizza lo stile gotico come unico stile capace di racchiudere i principi concettuali di purezza ed onestà; basato su un approccio artigianale di altissimo livello e grande perizia che possa attingere anche dai suggerimenti che la natura con le sue forme di bellezza insuperabile mette a disposizione. Il richiamo al gusto gotico, soprattutto nella sua accezione simbolica, realizzativa, morale ed organizzativa, venne assorbito dall’Art & Craft. Il contesto storico e sociale di sviluppo di queste nuove teorie artistiche, seppur variegate di nazione in nazione, influenzerà negli anni a cavallo tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo il nuovo gusto dominante che non si rifarà più ad alcun stile del passato ma creerà una forma nuova nel presente e per il presente: l'Art Nouveau.  

Bibliografia Liberty Art Nouveau -Giunti Editore - Lara Vinca Masini Art Nouveau - 24 ore cultura s.r.l - Matteo Fochessani Il mobile del ‘900 - De Agostini- Ornella Selvafolta Il liberty - F.lli Melita editori

mercoledì 23 settembre 2015

12 dipinti famosi per l'inizio dell'autunno

L'autunno è un tema riccorrente nella storia dell'arte, da sempre molto caro a moltissimi artisti che hanno rappresentato questa stagione di transizione nei loro dipinti e nelle loro opere d'arte. Dato che oggi è il primo giorno d'autunno, abbiamo scelto dodici capolavori per voi.  

1. By the Stream, Autumn - Paul Gauguin; 1885Autunno Gauguin                            

2. Autumn Effect at Argenteuil - Claude Monet; 1873Autumn Monet                  

3. The Return of the Herd - Pieter Bruegel il vecchio; 1565Autunno Bruegel                  

4. Autunno - Tintoretto; 1564Autunno Tintoretto                    

5. Abstract Expressionist Autumn Sky - Audrey Flack; 1877Autunno Flack                  

6. Rain - Edvard Munch; 1902Autunno Munch              
  7. Autumn, or The Grape Harvest - Francisco Goya; 1786Autunno Goya                        

8. Okhtyrka, autumn - Wassily Kandinsky; 1901Autunno Kandinsky              

 9. Autunno - Giuseppe Arcimboldo; 1573Stapleton Park near Pontefract Sun                          

10. Stapleton Park near Pontefract Sun - John Atkinson Grimshaw; 1877Stapleton Park near Pontefract Sun                

11. Alychamps, Autumn - Vincent Van Gogh; 1888                  

 12. The autumne - Alphonse Mucha; 1896 Autunno Mucha

lunedì 21 settembre 2015

Galileo Andrea Maria Chini (Firenze, 2 dicembre 1873 – Firenze, 23 agosto 1956) è stato un pittore, decoratore, restauratore e ceramista italiano, uno dei protagonisti dello stile Liberty.


Galileo Chini nacque a Firenze da Elio, sarto e suonatore dilettante di flicorno e da Aristea Bastiani. Dopo la morte del padre si iscrisse alla Scuola d'Arte di Santa Croce a Firenze, dove frequentò i corsi di decorazione. A Firenze nel 1896 fondò la manifattura "Arte della Ceramica" insieme a Giovanni Vannuzzi, Giovanni Montelatici e Vittorio Giunti. Nel 1897 arrivarono le prime commisioni di lavoro da parte del Comune di San Miniato (PI) per il restauro degli affreschi della Sala del Consiglio Comunale. Dall’anno successivo la sua attività di restauratore di affreschi fu richiesta in diverse chiese e cappelle della zona; laddove gli affreschi erano irrimediabilmente perduti, Galileo Chini non esitò a far rimuovere l'intonaco e a procedere successivamente a nuove decorazioni. Con i lavori in ceramica venne premiato alle esposizioni internazionali di Bruxelles, San Pietroburgo e St. Louis ma nel 1904 abbandonò la vecchia manifattura "Arte della ceramica" per divergenze con la direzione. Due anni dopo, insieme al cugino Chino fonda nel Mugello la "Fornaci di San Lorenzo" che realizzava ceramiche e vetrate ma anche arredamenti d'interni e progettazione di mobili in legno decorati da piastrelle, ceramiche e vetri. Fino al 1905 si impegnò in una serie di decorazioni e restauri nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Firenze, oltre che in una serie di affreschi presso l'Hotel Cavour (nella stessa Firenze) e presso il Grand Hotel La Pace a Montecatini. Nel 1907 espose alla Biennale di Venezia. Nel 1910 il Re del Siam, Rama V, dopo aver ammirato i suoi lavori alla Biennale di Venezia lo invitò a lavorare per la sua corte a Bangkok dove affrescò la sala del trono nel palazzo reale e realizzò una serie di ritratti ufficiali per la famiglia reale e i dignitari di corte. Rientrò dalla Thailandia nel 1913 riportando in Italia una serie di opere paesaggistiche e d'ambiente, che espose nel 1914 alla Mostra della Secessione Romana. Nel 1921 espose alla Prima Biennale Romana e nel 1924 ancora alla Biennale di Venezia. Tra il 1920 e il 1930 si dedicò alla cura delle decorazioni e agli affreschi di diversi Hotel e palazzi in Versilia e nel Mugello, ottenendo la cattedra di Decorazione pittorica alla Reale scuola di Architettura a Firenze. Morì il 23 agosto del 1956 nella sua casa-studio in via del Ghirlandaio 52, a Firenze. È sepolto nel cimitero monumentale dell'Antella.  

Galileo Chini e il Padiglione Italia
Nel 1909, per l'ottava Esposizione Internazionale d’Arte alla Biennale di Venezia, il primo segretario generale Antonio Fradeletto volle tentare un esperimento di decorazione murale, realizzata direttamente sulle pareti della cupola del salone d'ingresso del Padiglione Italia (ora Padiglione Centrale). L'esecuzione dell'opera viene affidata allo stesso Chini che decise di dividere la cupola in tre ordini decorativi. Nella fascia superiore realizzò motivi floreali e ornamentali, in quella inferiore rappresentazioni simboliche, tratte dallo scarabeo, al tempo suo “marchio” di riconoscimento, mentre nella parte centrale divisa in otto campi, raffigurò episodi dei periodi più illustri della civiltà e dell'arte (le opere, in un primo tempo coperte, furono riportate alla luce nel 1986). La stessa sala ospitò altre importanti opere di Chini negli anni ‘20. La Sala Chini costituisce il vestibolo del Padiglione Centrale, realizzato tra il 1895 e il 1899. Con il cambiamento del gusto e delle tendenze il ciclo pittorico fu nascosto da una nuova struttura di Giò Ponti, fino al suo ritrovamento, nel 1986, in pessimo stato conservativo. Nel 2005 il Comune di Venezia iniziò il restauro, interrotto per mancanza di fondi e ripreso dalla Biennale di Venezia che lo portò a compimento.  

Fregio decorativo con putti, nastri e ghirlande Opera appartenente alla decorazione pittorica per la sala “L' Arte del Sogno”, allestita all’ Esposizione Internazionale d'Arte del 1907, costituta da due pannelli collocati nella parte superiore delle pareti, intervallati da un vessillo dipinto.
Fregio decorativo con putti, nastri e ghirlande  
La glorificazione dell'aviatore Opera appartenente al ciclo decorativo dedicato alla "Glorificazione della Guerra e della Vittoria". I dipinti erano collocati in alto, lungo i due lati maggiori del Salone Centrale del Padiglione Italia, ospitante la mostra personale di Plinio Nomellini, all’ Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia del 1920.  

La glorificazione dell'ala Anch’essa realizzata per il ciclo dedicato alla "Glorificazione della Guerra e della Vittoria" con la stessa collocazione. Fu la prima edizione della mostra dopo l'interruzione dovuta al conflitto mondiale, che impedì la realizzazione delle Biennali del 1916 e del 1918.    

Le opere disponibili su Anticonline.it 
  Galielo Chini
Si tratta di una coppia di grandi pannelli decorativi dipinti a tempera su lastra cementizia, delle dimensioni di 149 cm di altezza e 122 cm di larghezza, che rappresentano putti alati inseriti in uno sfondo floreale dal cromatismo acceso. Il paragone fra i pannelli presentati e le opere veneziane della Biennale citate precedentemente, appare aderente in merito alle analogie espressive e di composizione pittorica, sia nel tema che nella plasticità realizzativa. La qualità termica e la tonalità sensitiva dei dipinti possono far supporre una medesima paternità artistica. Le posture plastiche e di espressione, che possiamo mettere a confronto nel dettaglio delle opere, ci appaiono affini fra loro, dando origine ad una omogeneità di tratto pittorico tale da farci presupporre la medesima mano esecutiva.




martedì 15 settembre 2015

Il successo della mostra Maggiolini al fuorisalone 2015


Più di 3000 visitatori, 5 giorni di apertura, 10 visite guidate al giorno, 60 pubblicazioni su stampa e web.  

Ecco qualche numero dell'evento “Maggiolini al Fuorisalone 2015”, tenutosi dal 14 al 19 aprile scorso presso la Galleria San Fedele di Milano.

La mostra, organizzata dalla Cooperativa Di Mano in Mano e curata da Giuseppe Beretti, è stata dedicata al maestro Giuseppe Maggiolini, ebanista e intarsiatore che, tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, creò il primo brand del mobile di design a Milano, il “Mobile Maggiolini”.

Collocata all'interno del Fuorisalone 2015, la mostra ha riscosso un successo unico e un apprezzamento unanime da parte di tutti i visitatori, grazie all'elevato profilo culturale e la cura con cui è stata organizzata.

L'evento ha reso omaggio all'arte italiana e agli antichi mestieri dell’artigianato, come un inestimabile valore aggiunto per il futuro del mobile, ricostruendo, attraverso le opere e lo straordinario materiale grafico, il percorso della produzione firmata da Maggiolini.

I pregiati mobili sono stati ulteriormente valorizzati da un allestimento elegante e distinto, impreziosito dalla location del San Fedele, tanto da rendere i pezzi esposti vere e proprie opere d'arte.

Per tutta la durata della manifestazione sono state organizzate visite guidate ed è stato presentato il catalogo, edito da Inlimine edizioni, ancora in vendita

Ringraziamo tutti i partecipanti e ovviamente i nostri partners, che hanno reso la manifestazione un appuntamento irripetibile nell'ambito dell'antiquariato, in particolare  Fondazione Cologni - Mestieri d'arte, Corsi arte e Giuseppe Beretti.
Un ringraziamento anche agli sponsor per il loro prezioso contribuito: Wannenes, Ciaccio Broker, Shipping Team e Davvero.