Che uno tra i pionieri dello stile rocaille in Francia fu un disegnatore e architetto di chiare origini piemontesi, forse non è cosa universalmente nota. Nominato da Luigi XV Dessinateur de la chambre et du cabinet du roi nel 1726 e autore del celeberrimo Livre d’ornament pubblicato nel 1734, Juste-Auréle Meissonier era di fatto nato a Torino, nel 1695. Cosa interessante se si pensa che di tutti gli Stati che frammentavano la nostra penisola nel XVIII secolo, nessuno si avvicinò tanto al gusto parigino del tempo quanto il Piemonte. Forse naturale conseguenza della continuità territoriale, quest’attitudine fu senz’altro incoraggiata dagli stretti legami dinastici che intercorsero tra le due famiglie regnanti e dall’influenza politica che Parigi esercitò sul Regno sabaudo a fasi alterne. Eppure, l’ascendente e il fascino emanato dalla Grandeur d’oltralpe non fu tale da offuscare l’orgoglio di una dinastia da sempre impegnata nell’ambizioso progetto di ampliare i confini dei propri possedimenti, con la ferrea intenzione di mantenere una salda autonomia. L’esito dell’assedio di Torino del 1706 da parte dei Francesi, ne è un sapido esempio: la città resistette coraggiosamente per centodiciassette giorni, fino a che Vittorio Amedeo II ed Eugenio di Savoia non giunsero finalmente in soccorso alla popolazione stremata, costringendo alla ritirata l’esercito di Luigi XIV. Trentamila uomini ebbero la meglio contro quarantasette mila. Questo episodio la dice lunga sul rapporto di fiera indipendenza che seppe dirottare l’ammirazione e il desiderio di emulazione in una direzione del tutto autonoma, delineando uno stile proprio, fedele alla propria identità.
Se un intelletto illuminato, per di più francese come il De Brosses, arrivò a definirla “la più bella città d’Italia e forse d’Europa” si può solo riconoscere che Vittorio Amedeo II, fresco del titolo di Re di Sicilia, fu assai lungimirante nel chiamare a Torino l’architetto messinese Filippo Juvarra e ad affidargli il compito di ammodernare la città per renderla degna di essere capitale di un Regno. E’ il 1714, Filippo Juvarra, allievo di Carlo Fontana, già noto presso varie corti europee in qualità di scenografo e progettista di apparati cerimoniali, possiede una tale versatilità e abilità nel manipolare lo spazio architettonico da ridefinire in breve tempo la prospettiva del capoluogo sabaudo. Ma la sua opera sarà fondamentale anche per lo sviluppo del décor cittadino: gli interni dei Palazzi, l’allestimento e la decorazione degli ambienti risentono della sua influenza, del resto non potrebbe essere altrimenti dal momento che egli stesso si occupa in prima persona degli appartamenti Reali ed esistono disegni di mobili di sua mano. I suoi modelli ispirano così i decoratori e i minusieri torinesi che riescono a dare nuova freschezza, rielaborandole, tipologie di arredo del tutto caratteristiche perché realizzate solo qui. Attribuito ad un anonimo intagliatore piemontese, appartenente con ogni probabilità alla cerchia dello Juvarra, e datato 1722 è il progetto per una caminiera oggi alla Fondazione Sella di Biella (Fig. 1 - Fondo F.Maggia, n. 564). L’annotazione sul foglio, redatta in una corsiva personale già tipicamente settecentesca, cita: “Guarnitura per fornello per il Gabinetto Grande di Sua Altezza reale verso levante”. Non è affatto difficile riconoscere in quel modello le realizzazioni che si possono ammirare ancora oggi, percorrendo alcune sale del Palazzo Reale e di Palazzo Madama. Del tutto prossimo al nostro disegno, seppur di esecuzione un po’ più tarda, ci pare infatti l’allestimento del Salotto delle Cameriste, a Palazzo Reale (Fig. 2), dove la specchiera da camino presenta quello stesso motivo a doppia lesena che si trova nel progetto del 1722 ed è allo stesso modo sovrastata da un’alta cornice ospitante un dipinto, in questo caso il ritratto di Maria Adelaide di Savoia, figlia di Vittorio Amedeo II, ad opera di Pierre Gobert. Anche se l’ornato e i volumi risultano più lievi che nello studio, la foggia è pressoché la stessa. L’intera decorazione della sala si colloca tra il 1730 e il 1740, anni in cui l’attività di rinnovamento degli appartamenti reali sotto la regia dell’architetto siciliano si fa più intensa ed interessante. Ma, dicevamo, si tratta di un tipo di mobilio peculiarmente torinese, e di fatto lo troviamo già eseguito nei primissimi anni del ‘700 per “l’appartamento nuovo” della Madama Reale Maria Giovanna di Savoia Nemours, madre di Vittorio Emanuele II (Fig. 3). Qui, certo, i robusti fregi laterali e la carnosa voluta del coronamento della cornice, abilmente intagliati da Michele Crotti, osservano ancora i dettami di un gusto pienamente barocco, ma l’impostazione d’insieme rimane identica. Anche qui una tela, incorniciata da ridondanti arabeschi intagliati, domina la specchiera: si tratta dell’immagine di Carlo Emanuele II, marito della sovrana, firmata da Lorenzo Dufour. Ma in una società come quella torinese, dove si trovava una tale comunità di rapporti tra ceti diversi quale non si trovava in nessun’altra città dell’epoca, questo specimen non poteva certo rimanere prerogativa esclusiva dei Palazzi Reali, così alla tavola 154 del catalogo Museo Civico di Torino edito nel 1963 a cura di Luigi Mallè, è riprodotta una caminiera del tutto simile come concezione agli esemplari aulici fin qui incontrati (Fig. 4), ma che verosimilmente doveva aver adornato il salone buono di una di quelle famiglie della nobiltà di origine borghese fortemente voluta da Vittorio Amedeo.

